martedì 13 marzo 2018

Vanitas vanitatum: il genere della vanitas

La vanitas è un genere di natura morta, in auge soprattutto nel XVII secolo, che mostra motti ammonitori e/o allegorie relative alla caducità della vita: teschi, clessidre, candele consumate, fiori appassiti e/o frutti avvizziti (celeberrimo è il Canestro di frutta del Caravaggio, ma, in letteratura, a ragione può essergli accostata la celebre pagina leopardiana del giardino "duale", apparentemente bellissimo, in realtà in stato di souffrance, di Zibaldone, 4175); la vanitas può essere anche la raffigurazione di un personaggio che abbia un aspetto apparentemente bello, che nasconda il suo disfacimento, magari riflesso in uno specchio. 

Le vanitates, che celano la dualità della bellezza, che spesso nasconde un opposto terrificante ovvero la polarità vita/morte, hanno la loro genesi nella famosa frase dell'Ecclesiaste I, 2 e XII, 8, vanitas vanitatum et omnia vanitas, ripresa dagli Umanisti, in particolar modo da Marsilio Ficino (Theologia Platonica de immortalitate animorum, XXII), e poi riproposta con forza da Giordano Bruno. Il genere della vanitas è dunque un'esasperazione di quel sentimento doloroso di caducità della vita umana che si avverte anche nel Rinascimento, giacché gli Umanisti neoplatonici insegnavano, sulla scia di Plotino, che il mondo fenomenico era tenebra ovvero assenza di luce divina, pertanto il nulla. 

Nelle vanitates si ritrovano dunque, seppure ne è dimenticata la genesi, molte delle dottrine neoplatoniche rinascimentali portate alle estreme conseguenze: i concetti neoplatonici degli opposti, della vita umana umbratile, delle tenebre fenomeniche, perfino l'allegoria dionisiaco-orfico-neoplatonica dello specchio, che riflette il molteplice fenomenico, a sua volta espressione di polarità inganno/verità.








Villa dei Misteri, Pompei













L'archetipo orfico-dionisiaco potrebbe essere riconosciuto nel particolare dell'affresco della Villa dei Misteri di Pompei con il satiro dallo specchio - ovvero una coppa che funge da specchio - in cui si riflette una maschera, altro simbolo duale orfico-dionisiaco e neoplatonico del molteplice fenomenico.

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Nelle immagini seguenti, Donna allo specchio di Tiziano (1512-1515), in cui gli specchi sono ben due, uno che riflette il davanti ed un altro, concavo, che riflette il dietro, implementando il concetto del molteplice fenomenico; Vanitas di Jan Sanders van Hemessen (1535-1540); La Prudenza di Piero del Pollaiolo (1470), che è abile nel maneggiare sia lo specchio sia il serpente, entrambi duali, la cui iconografia è ripresa da Girolamo Macchietti (1535-1592) nella sua Allegoria della Prudenza


Donna allo specchio, Tiziano
Vanitas, Jan Sanders van Hemesse

 La Prudenza, Piero del Pollaiolo
Allegoria della Prudenza, GirolamoMacchietti



Un particolare esempio di vanitas può a ragione essere considerata la Mappa del Mondo nel Cappello del Matto (Fool's Cap Map of the World).


Questa stranissima, "misteriosa" mappa, se guardata con occhi "neoplatonici" diventa chiarissima: vi sono illustrati innanzi tutto la figura del giullare, che nelle corti rinascimentali era sempre presente e che, tra le altre allegorie, come i nani, era simbolo di intelligenza e di veridicità "nascoste" in un corpo deforme o quantomeno ridicolo ovvero di "dualità" di "opposti" (il Bello nel Deforme, il deforme che nell'arte diventa bello, il Saggio nel Matto ...), ma soprattutto, tra i vari motti ed i simboli, lo specchio, che riflette il molteplice fenomenico ingannatore, concetto rimarcato dalla frase dell'Ecclesiaste della vanitas vanitatum, che lo illustra, e un detto di Salomone (Ficino, per esempio, e poi Bruno si riferirono nei loro scritti al concetto biblico della vanitas) o il riferimento nel cartiglio con le maschere - ulteriore simbologia orfico-neoplatonica - all'allegoria del Democritus ridens e dell'Heraclitus lugens - o flens ed il motto delfico dei Sette savi, poi socratico, Nosce te ipsum, entrambi fatti propri dagli Umanisti neoplatonici.
La mappa, opera di un certo Epichtonius Cosmopolites (uno pseudonimo significativamente neoplatonico, dal significato di Terrestre e/o Mortale Cosmopolita ovvero Cittadino del Cosmo/Mondo), è databile 1580-1590, il che dimostra che la simbologia del Neoplatonismo, pur cassato dalla Controriforma, era per taluni ancora valida (del resto fu portata alle estreme conseguenze iconografiche e concettuali appunto  nel genere delle vanitates barocche).

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