lunedì 6 gennaio 2020

I Magi evangelici

Nel Vangelo di Matteo, 2, 1-11 appaiono i Magi come figure positive di saggi, giunti da un generico oriente (μάγοι ἀπὸ ἀνατολῶν παρεγένοντο). Il testo evangelico non ce ne dice il numero né descrive esaurientemente chi fossero; il fatto che abbiano seguito una stella farebbe però supporre che si occupassero di astronomia, scienza nella quale, per tradizione, i Magi medio-persiani eccellevano. Il redattore del Vangelo di Matteo, che è stato scritto entro la fine del primo secolo (la maggior parte degli studiosi pensa che sia stato redatto dopo il 70), viveva in un’epoca nella quale il termine “mago” aveva già il significato di indovino, addirittura di stregone, non certo di “sapiente”, identificandosi con gli astrologi Caldei e questi ultimi con i Babilonesi (si ricordino i calcoli babilonesi che, secondo Orazio, nella celebre ode del “carpe diem” (Odi, I, 11, 2) l’amata Leuconoe non deve consultare (nec Babylonios| temptaris numeros). Giacomo Leopardi stesso, nel capitolo 4 Della magia del trattato Saggio sopra gli errori popolari degli antichi usa il termine di “mago” in senso dispregiativo, presentando numerosi brani classici (di Virgilio, Seneca, Quintiliano ecc.) in cui questa figura di indovino e di praticante le arti magiche equivale a un negromante. Come potevano dunque essere figure positive i Magi evangelici? Da quale tradizione deriva il loro connotato di sapienti e non di stregoni? Ce lo spiega la distinzione che ne fece Giorgio Gemisto Pletone, seguendo l’insegnamento di Suhrawardī (alias Šihāb al-Dīn Yaḥyā al-Maqtūl), il filosofo platonico persiano dell’Illuminazionismo (Išrāqī), ma anche di Diogene Laerzio (Proemio delle Vite dei filosofi), tra i primi Magi della Media, i sapienti seguaci di Zarathustra (alias Zoroastro) e i successivi Magi caldei,  ritenuti degeneri, perché la loro dottrina fu contaminata dalle credenze locali, allorché Ciro il Grande, dopo la conquista della Media, trasferì in Persia la loro religione; questi avvenimenti ci sono testimoniati da Senofonte, nel libro VIII della Ciropedia. Erodoto, I, 101, definisce i Magi un γένος, cioè una “tribù” della Media, probabilmente una casta sacerdotale e dunque personaggi dai privilegi e dall’autorità particolari (che autorizzerebbero perfino la loro identificazione posteriore e popolare come “Re”). Uno dei Vangeli apocrifi, il Vangelo arabo-siriaco dell’infanzia, narra che “vennero a Gerusalemme dei Magi, come aveva predetto Zaradusht”, ovvero Zoroastro. I Magi evangelici potrebbero essere anche appartenenti alla comunità dei Magi zoroastriani ellenizzati, detti Magusei, che vivevano nell’Anatolia. Marsilio Ficino, filosofo neoplatonico umanista, per difendere la magia naturale ovvero la “scienza dei Magi”, distinguendola dalla magia profana negativa, afferma che non a caso furono essi ad adorare tra i primi Gesù.
Il termine “mago”, coniato dal persiano “magush” tramite il greco “magos” (μάγος), ha il plurale “maghi” quando si intenda come “artefice di magie”, ma la stessa forma "Magi" riferendosi ai sacerdoti medio-persiani; da questo plurale tuttavia è poi derivato, secondo il Dizionario etimologico Devoto-Oli, il singolare “magio” proprio per distinguere anche eticamente le due categorie di personaggi.
Quanto ai doni che essi portano al Bambino divino, qualsiasi interpretazione teologica si voglia loro dare, nel sincretismo del periodo in cui è nato il Vangelo di Matteo erano anch’essi connessi ancora con il culto della luce divina, già zoroastriano e mitraico, e dunque al Sole, manifestazione fenomenica visibile del Dio inconoscibile, cioè con l’eliolatria dei primi secoli, che fu anche neoplatonica: l’oro era il metallo solare per eccellenza e i connotati dell’astro e della sua luce – anche nelle analogie simboliche – erano aurei (anche secondo Marsilio Ficino), le due sostanze odorose erano connesse con i culti solari ed erano citate, per esempio, nelle dediche alla divinità solare o a Zeus degli Inni orfici come sostanze da bruciare nel sacrificio incruento del rito loro offerto. La testimonianza che mirra e incenso erano due sostanze odorose solari è in Teofrasto, Historia Plantarum (Περὶ Φυτῶν Ιστορίας), IX, 4, 4-6, che tramanda che nel paese dei Sabei, il Regno di Saba, erano conservati nel Tempio del Sole; ne conferma in parte la “solarità” anche il mito di Leucotoe, amata dal Sole e trasformata nella pianta di incenso, così come è narrato da Ovidio in Metamorfosi, IV, 167-270.

Notizie tratte da Arimane, la scelta delle tenebre e da Il segno della ginestra, di M.A. Scannerini.

Nell'immagine i Magi raffigurati nel celebre mosaico di Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna, con abiti orientali e berretto frigio, lo stesso indossato da Mithra in molte rappresentazioni e da Orfeo in alcune immagini tradizionali.