lunedì 30 dicembre 2019

Il segno della ginestra. Il simbolismo presente nella poesia 'La ginestra' di Giacomo Leopardi









L'elefante simbolico del Neoplatonismo

L'Hypnerotomachia Poliphili (la traduzione letterale del titolo greco è "Il combattimento amoroso in sogno di Polifilo") o, brevemente, il Poliphilo, oltre ad essere un testo allegorico fondamentale dell'Umanesimo rinascimentale neoplatonico (è l'allegora del "viator" in cerca dell'Amore), è un capolavoro artistico: è definito da molti il libro più bello che sia mai stato pubblicato. L'editore tipografo è il grande Aldo Manuzio (1499), ma l'autore è ignoto (si sono fatte molte ipotesi, tra cui quelle di alcuni nomi importanti dell'Umanesimo, ma un acrostico lo attribuisce ad un non meglio identificato "Frater Francesco Colonna", forse un frate, forse più probabilmente un affiliato ad una "fratria" neoplatonica). 
Il libro contiene 169 illustrazioni xilografiche, una più bella ed interessante dell'altra, che sono in strettissima connessione con il testo scritto, quasi facendone parte esse stesse con le loro iscrizioni e la loro simbologia.
L'importanza della lezione e la riconosciuta autorevolezza dell'opera sono testimoniate dall'ispirazione che Bernini trasse da una sua xilografia per il proprio celebre gruppo dell'elefante che sorregge un antico obelisco egizio, collocato nel 1667 a Roma nella piazza della Basilica di Santa Maria sopra Minerva.
Si dice che una copia del libro fosse in possesso di papa Alessandro VII, che volle il monumento.





Nell'Hypnerotomachia Poliphili l'elefante rappresenta la Saggezza o meglio l’anima razionale della filosofia platonica, mentre l'obelisco, simbolo solare, allude alla sapienza dell'antico Egitto, che dagli Umanisti era ritenuta alla base di molte delle dottrine e delle conoscenze degli antichi, filosofi greci compresi.
Da Wikipedia: "L'iscrizione sul basamento [del gruppo di Bernini] recita: "Sapientis Aegypti/ insculptas obelisco figuras/ ab elephanto/ belluarum fortissima/ gestari quisquis hic vides/ documentum intellige/ robustae mentis esse/ solidam sapientiam sustinere" (Chiunque qui vede i segni della Sapienza d'Egitto scolpiti sull'obelisco, sorretto dall'elefante, la più forte delle bestie, intenda questo come prova che è necessaria una mente robusta per sostenere una solida sapienza)".














Elefanti che sostengono elementi architettonici o usati come fregi emblematici  sono presenti anche nel Tempio Malatestiano di Rimini, che Sigismondo Malatesta volle nel 1450 pieno di simbologia neoplatonica e luogo di sepoltura dei resti del suo maestro, il filosofo bizantino neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone, da lui trafugati nel 1465 da Mistra, nel Peloponneso, dove si era recato a combattere gli Ottomani al soldo dei Veneziani.






Un gruppo simile, un elefante che sorregge un obelisco, è anche a Catania, nella Piazza del Duomo, opera di Giovanni Battista Vaccarini (1735-37).



Una delle "catene" tanto amate dagli umanisti neoplatonici continuò dunque anche nell'epoca barocca, diffondendo ancora l'antica sapienza, per chi sapesse coglierla nelle allegorie, nei signa, secondo il loro insegnamento, con l'occhio dell'anima.