venerdì 22 dicembre 2017

Il Sole del Natale



Madonna con il Bambino e san Giovannino, Palazzo Vecchio, Firenze



Già negli Yasht, gli Inni dell'Avesta zoroastriani, era presente la figura di un bambino salvatore del mondo, il Saoshyant, nato da una vergine, che avrebbe contribuito alla sconfitta definitiva di Arimane, daimon delle tenebre, da parte di Oromazde, dio della luce. Si tratta dello stesso bambino che nell'Egloga IV di Virgilio avrebbe riportato il mondo all'Età dell'Oro, epoca mitica dell'umanità fanciulla, nella quale non esistevano né il dolore, né le guerre, né la povertà, né il bisogno, né differenze di stato sociale. L'Età dell'Oro era governata dal dio Saturno, latore di ogni dono per gli uomini, che ricordavano la sua benevolenza regalandosi statuette di argilla (dette sigillaria, da sigillum, ovvero signum, segno, in greco symbolon, simbolo) e candele, chiaramente legate al culto della luce; ciò avveniva durante i Saturnali (Saturnalia), feste romane che, così come erano celebrate in epoca imperiale, volevano riprodurre la gioia e lo sconvolgimento sociale di quell'epoca felice. Macrobio, l'autore dei Saturnalia, neoplatonico e dunque legato anche all'Orfismo, ci parla di feste la cui origine è avvolta in un mistero che non deve essere rivelato.

Anche Mithra era identificato con colui che avrebbe collaborato con Oromazde alla sconfitta di Arimane ed alla palingenesi del mondo, dopo la quale l'umanità avrebbe vissuto in eterna beatitudine nella luce. Il dio Mithra era l'antichissima divinità dei Mitanni, popolo mesopotamico la cui civiltà raggiunse l'apice nel secolo XV a. C., ed entrò nella teologia mazdeistica dopo il 550 a. C., l'anno della conquista della Media da parte di Ciro il Grande, l'originale credenza meda contaminandosi con quella caldea. Plutarco inserisce il dio come il Mediatore nella triade zoroastriana (De Iside et Osiride, 46) e, sulla base anche degli Oracula Chaldaica, che, pur essendo apocrifi tardo-ellenistici, influenzarono grandemente la teologia e la filosofia del periodo del sincretismo dei primi secoli, soprattutto i Neoplatonici riconobbero nelle tre componenti della triade diverse qualità della Luce divina, cambiando essa durante il corso dell'anno, diviso in sole tre stagioni, la primavera, l'estate ed un lungo inverno, iniziante al solstizio di dicembre, il decimo mese, ed identificarono con il Sole la seconda e centrale di esse, ovvero il Mediatore plutarcheo. Al Sole, che era dunque la manifestazione divina nel mondo fenomenico, ovvero era "l'occhio" del cosmo, i Neoplatonici, la cui dottrina caratterizzò i primi secoli, dedicarono i loro inni più significativi e più belli (per esempio lo fecero Giuliano imperatore detto l'Apostata e Proclo tra gli antichi e Giorgio Gemisto Pletone, mentore dei moderni rinascimentali, il maggiore dei quali, Marsilio Ficino, scrisse un Liber de Sole). I Neoplatonici rinascimentali dunque credevano in una verità tramandata dalla catena sapienziale dei saggi, che aveva avuto origine da Zoroastro e che era stata finalmente rivelata nella sua pienezza dal Vangelo di Giovanni, che annuncia la venuta del Cristo, Luce del mondo e Logos di Verità.
La celebrazione del Sol Invictus, che è tante volte ricordata come l'antesignana dei riti natalizi, era in realtà solo uno degli aspetti del culto del Sole sincretistico, ovvero era relativa alla divinità nella sua interpretazione cara ai soldati, specialmente ai reduci dalle campagne militari nei paesi orientali, che pur ebbero il merito di contribuire ad introdurre le dottrine di quei paesi nella romanità, i quali erano educati alla brama della vittoria ed al culto di essa come divinità, molto presente anch'essa nelle raffigurazioni dei sarcofagi del periodo. 
La religione solare era anzi la fede incoraggiata tra tutti i sudditi senza distinzioni da alcuni imperatori, quali Eliogabalo, Aureliano e Giuliano, poiché su essa si poteva legittimamente basare la divinizzazione del potere supremo, in un ambito culturale che ormai da tempo era indirizzato verso l'abbandono del politeismo e verso il monoteismo, attraverso l'enoteismo, forma religiosa intermedia tra le altre due, che metteva in particolare rilievo una divinità, elevata a rango di dio supremo, altrimenti ineffabile, tra le tante di un pantheon in cui esse erano ormai divenute manifestazioni delle sue qualità e facoltà, le sole visibili nel mondo fenomenico, come per esempio cantavano gli Inni orfici.


Si noti il quadro rinascimentale dedicato alla Natività, opera attribuita a Jacopo del Sellaio o da altri a Sebastiano Mainardi, conservato a Palazzo Vecchio in Firenze e noto come la Madonna con Bambino e san Giovannino (e la presenza di san Giovanni, il futuro evangelista della Luce, non è casuale): nel dipinto sulla destra dell'immagine di Maria, proprio sopra il Sole che ella ha ricamato nel mantello, appare uno strano oggetto (che gli ufologi identificano come un UFO!), una "nube" circondata da raggi solari dalla chiara forma di occhio, visibile al pastore che la indica, mentre sulla sinistra, oltre un palo che separa nettamente il cielo in due parti, l'una divina, l'altra fenomenica, il sole sormonta altri tre astri luminosi, nei quali la divinità si scinde filosoficamente in trinità della Luce.





martedì 19 dicembre 2017

Il San Giovanni Battista Capitolino-Pamphilj di Caravaggio.





Nel quadro intitolato a san Giovanni, conservato nei Musei Capitolini e nella copia presente nella Galleria Doria Pamphilj, Caravaggio per rappresentare il santo giovinetto usa a ben guardare un’iconografia insolita, nella quale si può scorgere un probabile influsso dell’iconografia rinascimentale, sincretistica e cripto-pagana, benché ormai essa fosse stata ormai costretta a subire progressive modificazioni ed infine tendesse all’oblio, al tramontare del Neoplatonismo e dello spirito stesso del Rinascimento: innanzi tutto il pittore, anziché l’agnello consueto, accosta a san Giovanni un caprone o ariete; non lo veste, secondo il racconto evangelico, con la pelle del cammello, che taluni fanno indossare anche alla sua raffigurazione infantile; inserisce nel dipinto piante quali l’edera ed il verbasco.






Il caprone era animale dionisiaco per eccellenza: esso era sacrificato a Dioniso (nell’Orfismo il sacrificio cruento fu sostituito da quello simbolico) e durante la celebrazione del rito gli adepti si vestivano con pelli di quell’animale, una delle numerose epifanie del dio era il capro ed il genere letterario della tragedia, che ha origine da canti dionisiaci, deriva il suo nome da τράγος, capro, e ᾠδή, canto, significando dunque in origine canto del caprone. Ricordiamo che la figura di Dioniso/Bacco è una delle più usate allegorie del Rinascimento neoplatonico, che, nato dal sincretismo, si serviva di immagini letterario-filosofiche e di iconografia polisemiche, ovvero dai molteplici significati


La vite, come è noto, era pianta dionisiaca e bacchica per eccellenza. Il tasso barbasco o verbasco (Verbascum Thapsus) è una pianta dai significati iconografici importantissimi: da sempre usata come pianta medicinale, nel Rinascimento neoplatonico, permeato dal culto della luce, si allude ad essa allegoricamente in quanto “pianta della luce” per eccellenza, poiché i suoi fiori sono gialli e perché con i suoi steli si facevano candele e stoppini (il suo nome greco, φλόμος, è connesso a φλόξ, fiamma); da tale significato si passa a quello di rinascita e di resurrezione, non solo per l’ovvia allegoria della luce, ma anche perché si tratta di una pianta che alterna un anno di quiescenza ad un altro di fioritura e perché inoltre si credeva che, se accostata a certi tipi di frutta, ne scongiurasse la putrefazione (in specie i fichi). Anche Dioniso/Bacco, oltre ad essere in origine la divinità del rigoglio del rinnovamento primaverile ed in epoca rinascimentale del vigore vivificante, secondo il mito orfico era rinato da morte, dopo che il suo cuore, salvato da Athena dallo smembramento da parte dei Titani del suo corpo nell’aspetto di Zagreo bambino, era stato ingoiato da Zeus; era protagonista di una katabasis, essendo in seguito sceso nell’Ade e risalito in terra per riportare in vita la madre Semele, donna mortale; ed il suo epiteto di Trieterikòs allude inoltre al suo essere il dio "dei due anni alterni" (le Feste Trieteriche in suo onore erano a scadenza biennale, proprio come la fioritura della pianta).


venerdì 8 dicembre 2017

La simbologia neoplatonica della melagrana.




Sandro Botticelli, artista rinascimentale neoplatonico, dipinse almeno due Madonne con il Bambino che tiene in mano una melagrana, una, la Madonna della melagrana, del 1487, ed un’altra, la Madonna del Magnificat, del 1481, entrambe due tondi conservati agli Uffizi di Firenze. Così fecero Leonardo, Raffaello e Pinturicchio.
La simbologia di questo frutto e del suo albero, il melograno, sono stati variamente interpretati nel corso dei secoli (il frutto come allegoria dell’abbondanza o il suo succo come rappresentazione del sangue e/o della morte, per esempio).
Purtroppo, con il cambiare delle ideologie, si è perso anche il significato preciso che i simboli o signa presso gli antichi e presso i Neoplatonici, che avevano fatto dell’iconografia simbolico-allegorica uno dei fondamenti delle loro dottrine (molti simboli neoplatonici assunsero in seguito nelle pratiche occulte significati diversi da quelli intesi dai primi Umanisti).
I symbola neoplatonici in primo luogo si distinguono da altri per essere sincretistici, ovvero rimandare a molteplici significati, essendo il Neoplatonismo rinascimentale nato, per impulso di Giogio Gemisto Pletone, dalla sintesi della cultura classica e dei suoi miti e quindi della cristiana con altre ideologie che, secondo la loro teologia, l’avevano anticipata, in una sorta di catena sapienziale (Zoroastrismo, Orfismo, Pitagorismo, Ermetismo, Platonismo, Stoicismo, Cabala).
Per i Neoplatonici rinascimentali dunque l’immagine della melagrana accosta reminiscenze bibliche e cabalistiche (“I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,/con i frutti più squisiti”, si dice nel Cantico dei cantici, IV, 13) con la dottrina della divinità che essi professavano: Dio è Uno-Tutto, nella sua unicità contenendo in sé il molteplice, così come un’unica melagrana riunisce un numero eccezionale di arilli, i chicchi contenenti i semi.
La simbologia degli Umanisti però rimanda anche all’Orfismo (gli Inni orfici sono stati uno dei loro testi fondamentali), per il quale morte e vita coincidono, essendo espressione di un cerchio che non ha inizio né fine, come la divinità: dalla morte nasce la vita e viceversa, in un ciclo fatale.
Il mito che secondo i Neoplatonici rinascimentali alludeva a questa concezione è quello di Persefone/Proserpina, dea ctonia connessa con il nascere delle messi dai semi che muoiono sottoterra, che ritorna per i sei mesi primaverili ed estivi sulla terra dalla madre Demetra/Cerere, facendo rinascere piante e frutti: il marito Plutone, per costringerla a ritornare presso di lui nell’Oltretomba, le fa mangiare nascostamente un chicco di melagrana.
Si comprende dunque che il simbolismo è connesso anche al concetto di rinascita. Coloro che nei quadri rinascimentali riconoscono nella melagrana tenuta in mano dal Bambino un segno che anticipa la sua morte sono in un certo senso in sintonia con l’interpretazione umanistica, anche se non intuiscono il nesso con l’allegoria neoplatonica della resurrezione; tuttavia anche il concetto di abbondanza, che appare nell’iconografia (per esempio quella di Cesare Ripa, iconografo seicentesco, che la raffigura come una donna con in mano una cornucopia contenente melagrane) è debitore della lezione neoplatonica, laddove si intenda il frutto una raffigurazione simbolica della divinità “sovrabbondante” d’amore ed unione del molteplice.



 Botticelli, Madonna della melagrana

Botticelli, particolare della Madonna della melagrana

Botticelli, Madonna del Magnificat
   Botticelli, particolare della Madonna del Magnificat

lunedì 4 dicembre 2017

Arimane, la scelta delle tenebre.



Il libro Arimane, la scelta delle tenebre: Giacomo Leopardi ed il Neoplatonismo orfico-mazdeistico di Giorgio Gemisto Pletone nasce dalla personale esigenza dell'autrice di rendere giustizia a Giacomo Leopardi: l'abbozzo dell'Inno ad Arimane non è la pagina più desolata della poetica del Recanatese, che testimoni una "notte buia dell'anima", così come, per luoghi comuni, si è soliti definirla, né tanto meno un esperimento di poesia satanista, come purtroppo talvolta si legge. 
 Si tratta infatti del tentativo di un inno filosofico, sulla scia delle tematiche neoplatoniche introdotte in Italia nel secolo XV dal filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletone (il Plato alter per definizione di Marsilio Ficino), colui che, nonostante abbia dato impulso al Rinascimento, è stato purtroppo oggetto della pratica della damnatio memoriae, che nel corso dei secoli ha spesso causato la perdita di opere d'arte e saperi dottissimi, in quanto non ligi al pensiero comune ovvero alle direttive della politica e della cultura infine predominanti. 
  Fu proprio Giacomo Leopardi che riscoprì Pletone, traducendo per primo in Italiano una sua opera (l'Orazione in morte dell'imperatrice Elena Paleologina, alla quale antepose un interessantissimo Discorso), parlandone con competenza anche nello Zibaldone, ammirandolo tantissimo ed augurandosi che al suo nome ed alla sua filosofia fosse riconosciuta la grandezza che meritano. 
  Si tratta dunque di scoprire - o di riscoprire - la dottrina del Neoplatonismo di Mistra (così l'insigne studioso francese Masai chiama la particolare filosofia pletoniana), le concezioni ad esso attribuibili e connesse e da esso suscitate, molte delle quali hanno reso fecondo il Rinascimento, e di osservare quali fra esse siano state recepite nel pensiero leopardiano: il libro pertanto è dedicato sia allo studio dei concetti neoplatonici, orfici e mazdeistici sia al genio di Leopardi e si divide dunque in due parti, ovvero i Materiali e la vera e propria Analisi dell'Abbozzo
Nel corso di tale esame sono inoltre  forniti gli "strumenti" per comprendere meglio la poetica ed alcuni concetti dell'"ultimo Leopardi", che proprio lo studio della genesi  culturale dell'abbozzo dell'Inno ad Arimane aiuta a decifrare, e l'anelito, spesso misconosciuto, ad una spiritualità che fosse in sintonia con le tematiche della sua filosofia.

         (Il libro è in vendita nei siti web specializzati e, su ordinazione, nelle migliori librerie).