domenica 21 gennaio 2018

Neoplatonismo nella Firenze medicea: la gemma rivelatrice







Simonetta Vespucci di Sandro Botticelli (Stadelsches Kunstinstitut, Frankfurt) 

Sigillo di Nerone, Museo Archeologico di Napoli)


A proposito di Neoplatonismo: quando un particolare conferma sia un gossip antico sia l'adesione alla dottrina neoplatonica nella Firenze medicea.

Simonetta Cattaneo Vespucci era considerata la donna più bella della Firenze dell'epoca di Lorenzo il Magnifico; ella fu amata da Giuliano de Medici, il fratello minore di Lorenzo, e fu ritratta da Sandro Botticelli nella Nascita di Venere e in altri dipinti, tra cui questo datato 1476 - 1480 (quindi il ritratto è postumo, essendo la donna morta giovanissima di tisi nel 1476 - era nata nel 1453). Che si tratti della bellissima Simonetta lo rivela anche un ben preciso particolare: il gioiello che porta al collo. L'identificazione della donna ritratta e la sua condizione di amante di Giuliano sono infatti "sancite" ufficialmente in questo quadro dal medaglione che porta al collo, un "gioiello di famiglia" dei Medici: si tratta del Sigillo di Nerone, un cammeo in corniola rossa di età augustea con l'immagine di Apollo e Marsia, che taluni dicono acquistatato da parte di Lorenzo il Magnifico da papa Paolo II ed altri, tra cui André Chassel (Arte e Umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo il Magnifico, Einaudi, Milano, 1964), ricordano che fu già di Cosimo, ma che comunque faceva parte nell'inventario del 1492 della collezione medicea di gemme, ora dispersa in musei di Firenze e altrove (il cammeo in questione è al Museo Archeologico di Napoli). La denominazione di Sigillo di Nerone deriva da una supposizione di Lorenzo Ghiberti, che nel libro II dei Commentarii afferma sia un'opera di Pyrgotele o Policleto, appartenuta a questo imperatore.
Ma perché raffigurare al collo della donna, in un quadro che è un inno alla bellezza e un ricordo d'amore, una gemma che allude ad una delle pagini più truci dei miti greci, quella in cui Apollo fa scorticare vivo il satiro Marsia, colpevole di averlo sfidato in una gara musicale ed averla persa?
In realtà il mito, molto rappresentato nei dipinti rinascimentali (lo dipinsero Raffaello e Tiziano, per esempio), era interpretato in senso neoplatonico: era l'allegoria più significativa, quella della liberazione dell'anima divina dal corpo terreno: «Quid me mihi detrahis?», ovvero “Perché mi estrai da me stesso?”, chiede Marsia in Ovidio, Metamorfosi, VI, 385, ed i Neoplatonici sviluppano questo concetto secondo le proprie teorie, che insegnano come sia necessario liberarsi del peso della materia per elevare l'anima al divino; essa inoltre è messa in relazione con l'importanza dell'armonia della musica, che contribuisce all'elevazione celeste; e l’«Amore è desiderio di bellezza» (Ficino) ed è guida nell’ascesa verso Dio; per di più l’allegoria unisce anche, sincreticamente, le dottrine umanistiche, già di per sé composite, con l'autorevolezza di Dante, che avvalora la figura di Marsia in Paradiso, I, 19-21. Nel 1485 infatti Pico della Mirandola scriveva in una famosa lettera che «spogliarsi di Marsia significa sottrarre l'anima ai legami terreni, la vittoria di Apollo è la vittoria della musica divina» (Chassel, Op. cit., p. 85); lo studioso afferma inoltre che potrebbe trattarsi di un talismano "apollineo", in quanto gli Umanisti facevano molto affidamento sui gioielli portafortuna, essendo ogni pietra legata a qualità magiche ed astrologiche (pp. 83-84); in ogni caso tuttavia, secondo l'interpretazione allegorica del mito, essa assicurava all'anima di Simonetta il legame con il Tutto divino.

Nella foto, il ritratto di Simonetta Vespucci di Sandro Botticelli (Stadelsches Kunstinstitut, Frankfurt) e il Sigillo di Nerone.

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