Già
negli Yasht, gli Inni dell'Avesta zoroastriani, era presente la figura di un bambino salvatore del
mondo, il Saoshyant, nato da una vergine, che avrebbe contribuito
alla sconfitta definitiva di Arimane, daimon delle tenebre, da parte
di Oromazde, dio della luce. Si tratta dello stesso bambino che
nell'Egloga IV di Virgilio avrebbe riportato il mondo all'Età
dell'Oro, epoca mitica dell'umanità fanciulla, nella quale non
esistevano né il dolore, né le guerre, né la povertà, né il
bisogno, né differenze di stato sociale. L'Età dell'Oro era
governata dal dio Saturno, latore di ogni dono per gli uomini, che
ricordavano la sua benevolenza regalandosi statuette di argilla
(dette sigillaria, da sigillum, ovvero signum, segno, in greco
symbolon, simbolo) e candele, chiaramente legate al culto della luce;
ciò avveniva durante i Saturnali (Saturnalia), feste romane che,
così come erano celebrate in epoca imperiale, volevano riprodurre la
gioia e lo sconvolgimento sociale di quell'epoca felice. Macrobio,
l'autore dei Saturnalia, neoplatonico e dunque legato
anche all'Orfismo, ci parla di feste la cui origine è avvolta in un
mistero che non deve essere rivelato.
Anche Mithra era
identificato con colui che avrebbe collaborato con Oromazde alla
sconfitta di Arimane ed alla palingenesi del mondo, dopo la quale
l'umanità avrebbe vissuto in eterna beatitudine nella luce. Il dio
Mithra era l'antichissima divinità dei Mitanni, popolo mesopotamico
la cui civiltà raggiunse l'apice nel secolo XV a. C., ed entrò
nella teologia mazdeistica dopo il 550 a. C., l'anno della conquista
della Media da parte di Ciro il Grande, l'originale credenza meda
contaminandosi con quella caldea. Plutarco inserisce il dio come il
Mediatore nella triade zoroastriana (De Iside et Osiride,
46) e, sulla base anche degli Oracula Chaldaica, che, pur
essendo apocrifi tardo-ellenistici, influenzarono grandemente la
teologia e la filosofia del periodo del sincretismo dei primi secoli,
soprattutto i Neoplatonici riconobbero nelle tre componenti della
triade diverse qualità della Luce divina, cambiando essa durante il
corso dell'anno, diviso in sole tre stagioni, la primavera, l'estate
ed un lungo inverno, iniziante al solstizio di dicembre, il decimo
mese, ed identificarono con il Sole la seconda e centrale di esse,
ovvero il Mediatore plutarcheo. Al Sole, che era dunque la
manifestazione divina nel mondo fenomenico, ovvero era "l'occhio"
del cosmo, i Neoplatonici, la cui dottrina caratterizzò i primi
secoli, dedicarono i loro inni più significativi e più belli (per
esempio lo fecero Giuliano imperatore detto l'Apostata e Proclo tra
gli antichi e Giorgio Gemisto Pletone, mentore dei moderni
rinascimentali, il maggiore dei quali, Marsilio Ficino, scrisse un Liber de Sole). I Neoplatonici rinascimentali dunque
credevano in una verità tramandata dalla catena sapienziale dei
saggi, che aveva avuto origine da Zoroastro e che era stata
finalmente rivelata nella sua pienezza dal Vangelo di Giovanni, che
annuncia la venuta del Cristo, Luce del mondo e Logos di Verità.
La
celebrazione del Sol Invictus, che è tante volte ricordata come
l'antesignana dei riti natalizi, era in realtà solo uno degli
aspetti del culto del Sole sincretistico, ovvero era relativa alla
divinità nella sua interpretazione cara ai soldati, specialmente ai
reduci dalle campagne militari nei paesi orientali, che pur ebbero il
merito di contribuire ad introdurre le dottrine di quei paesi nella
romanità, i quali erano educati alla brama della vittoria ed al
culto di essa come divinità, molto presente anch'essa nelle
raffigurazioni dei sarcofagi del periodo.
La religione
solare era anzi la fede incoraggiata tra tutti i sudditi senza
distinzioni da alcuni imperatori, quali Eliogabalo, Aureliano e Giuliano, poiché
su essa si poteva legittimamente basare la divinizzazione del potere
supremo, in un ambito culturale che ormai da tempo era indirizzato
verso l'abbandono del politeismo e verso il monoteismo, attraverso
l'enoteismo, forma religiosa intermedia tra le altre due, che metteva
in particolare rilievo una divinità, elevata a rango di dio supremo,
altrimenti ineffabile, tra le tante di un pantheon in cui esse erano
ormai divenute manifestazioni delle sue qualità e facoltà, le sole
visibili nel mondo fenomenico, come per esempio cantavano gli Inni
orfici.
Si
noti il quadro rinascimentale dedicato alla Natività, opera
attribuita a Jacopo del Sellaio o da altri a Sebastiano Mainardi,
conservato a Palazzo Vecchio in Firenze e noto come la Madonna
con Bambino e san Giovannino (e la presenza di san Giovanni,
il futuro evangelista della Luce, non è casuale): nel dipinto sulla
destra dell'immagine di Maria, proprio sopra il Sole che ella ha
ricamato nel mantello, appare uno strano oggetto (che gli ufologi
identificano come un UFO!), una "nube" circondata da raggi
solari dalla chiara forma di occhio, visibile al pastore che la
indica, mentre sulla sinistra, oltre un palo che separa nettamente
il cielo in due parti, l'una divina, l'altra fenomenica, il sole
sormonta altri tre astri luminosi, nei quali la divinità si scinde
filosoficamente in trinità della Luce.
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