Chi
conosca l'opera del poeta latino Catullo, autore di versi bellissimi
raccolti nei “Carmina”,
molti dei quali dedicati al suo amore per Lesbia, ricorda certo il
seguente Carme:
Nulli
se dicit mulier mea nubere malle
quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua.
(Catullo, Carmina, LXX)
quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua.
(Catullo, Carmina, LXX)
Che
non sarà di nessuno, dice la mia donna:
soltanto
mia, dovesse tentarla pure Giove.
Dice: ma ciò che donna dice ad un amante,
Dice: ma ciò che donna dice ad un amante,
scrivilo
nel vento o in acqua che va rapida.
(Catullo,
Carmina, LXX, traduzione di Salvatore Quasimodo)
Per
la fama di questo carme potrebbe sembrare che il concetto della
vanità dello scrivere sull'acqua sia tra le immagini più
“fresche” e “moderne” coniate dallo stesso Catullo, in
realtà si tratta invece di un topos frequente nella lirica greca e
latina, che certamente il poeta trasse da epigrammi alessandrini ora
raccolti nell' "Antologia Palatina", peraltro tenuti sicuramente
presenti anche per altri concetti.
Egli infatti conobbe certamente il seguente epigramma di Callimaco
Egli infatti conobbe certamente il seguente epigramma di Callimaco
ὢμοσε
Καλλίγνωτος Ἰωνίδι, μήποτε
κείνης
ἕξειν
μήτε
φίλον
κρέσσονα
μήτε
φίλην.
ὤμοσε:
ἀλλὰ
λέγουσιν
ἀληθέα,
τοὺς
ἐν
ἔρωτι
ὅρκους. μὴ
δύνειν
οὔατ᾽
ἐς
ἀθανάτων.
Ἰωνίδι
δ᾽
ὁ
μὲν
ἀρσενικῷ
θέρεται
πυρί:
τῆς
δὲ
ταλαίνης
νύμφης,
ὡς
Μεγαρέων,
οὐ
λόγος
οὐδ᾽
ἀριθμός.
(Callimaco, Antologia Palatina, V, 6)
Ha
giurato Callignoto a lonide che non avrà nessun altro,
né
uomo né donna, più caro di lei; l'ha giurato.
Ma
è vero quello che dicono, che i giuramenti d'amore
non
arrivano mai all'orecchio degli immortali.
Ora
arde di passione per un ragazzo, e dell'infelice
non
fa più caso né conto, come dei Megaresi.
(Callimaco,
Antologia Palatina, V, 6, traduzione di Filippo Maria Pontani)
Per
il concetto della vanità dello scrivere sull'acqua dovette tuttavia
conoscere anche il seguente epigramma di Meleagro
ἱερὴ
καὶ
λύχνε,
συνίστορας
οὔτινας
ἄλλους
ὅρκοις,
ἀλλ᾽
ὑμέας,
εἱλόμεθ᾽
ἀμφότεροι
χὠ
μὲν
ἐμὲ
στέρξειν,
κεῖνον
δ᾽
ἐγὼ
οὔ
ποτε
λείψειν
νὺξ
κοινὴν
δ᾽
εἴχετε
μαρτυρίην.
νῦν
δ᾽
ὁ μὲν
ὅρκια
φησιν
ἐν
ὕδατι
κεῖνα
φέρεσθαι,
λύχνε,
σὺ
δ᾽
ἐν
κόλποις
αὐτὸν
ὁρᾷς
ἑτέρων.
(Meleagro,
Antologia Palatina, V, 8)
Notte
sacra, e tu lucerna, vi abbiamo prese a testimoni
dei
giuramenti che ci siamo scambiati, voi e non altri:
lui
ha giurato di amarmi, e io di non lasciarlo
per
sempre; avete avuto l'impegno di entrambi.
Ora
lui dice che quel giuramento scivola sopra l'acqua,
e
tu, lucerna, lo vedi tra le braccia di altri.
(Meleagro,
Antologia Palatina, V, 8, traduzione di Filippo Maria Pontani)
Altri
poeti latini useranno in seguito un'immagine simile, per esempio
Properzio e
Ovidio
quidquid
iurarunt, ventus et unda rapit.
il vento e l'onda porta via tutto ciò che giurarono
il vento e l'onda porta via tutto ciò che giurarono
(Properzio, Elegiae, II, 28a, 8)
verba
puellarum, foliis leviora caducis,
inrita, qua visum est, ventus et unda ferunt.
il vento e l'onda portano via le parole delle ragazze, più leggere delle foglie che cadono
inrita, qua visum est, ventus et unda ferunt.
il vento e l'onda portano via le parole delle ragazze, più leggere delle foglie che cadono
(Ovidio,
Amores, II, 16, 45sg)
Tuttavia
un concetto così poetico non è neppure paternità degli
epigrammisti dell' "Antologia Palatina", in quanto è in realtà un
comune proverbio già conosciuto nella Grecia classica: basta
ricordare un frammento di Sofocle
ὃρκον
δ' ἐγὼ γυναικὸς εἰς ὓδωρ γράφω
giuramento
di donna lo scrivo sull'acqua
(Sofocle,
fr. 741 Nauck2)
Il
valore di proverbio della frase è testimoniato da un brano del "Fedro" di Platone, in cui Socrate parla a proposito della vanità della
scrittura rispetto alla dialettica (è noto che di Socrate non è
rimasto nulla di scritto, se non quanto riportato dai discepoli,
Platone soprattutto)
οὐκ
ἄρα σπουδῇ αὐτὰ ἐν
ὕδατι γράψει μέλανι
σπείρων διὰ καλάμου μετὰ λόγων ἀδυνάτων
μὲν αὑτοῖς λόγῳ βοηθεῖν, ἀδυνάτων
δὲ ἰκανῶς τἀληθῆ διδάξαι.
(Platone,
Fedro, LX)
E
però sul serio egli non scriverà in un'acqua, in un'acqua nera,
seminandoli per mezzo di una cannuccia e di parole inette a
difender se stesse per via di ragioni, inette per di più a insegnare
pienamente il vero. (traduzione di Emidio Martini).
Secoli
dopo, la paleoslava “Vita di Costantino”, scritta tra l'869 e
l'885 in Moravia , forse da Metodio stesso,
in cui si accenna alla creazione dell'alfabeto cirillico, ripete il
medesimo concetto: Costantino/Cirillo disse all'imperatore Michele: “
Capisco, ma chi può scrivere le sue parole sull’acqua? Oppure ci
si deve procurar il nome di eretico?”, ovvero il non poter
scrivere un libro mancando un alfabeto adeguato e predicare oralmente
è come scrivere “sull’ acqua”, rischiando di essere capito
male e creduto un “eretico”.
Il
valore eternante e nobilitante della Poesia, che esprime concetti e
stati d'animo in maniera più evocativa e potente di quanto lo faccia
la prosa, ha fatto dunque in modo che un concetto proverbiale sia
diventato poeticamente immortale.
E
così sull'epitaffio della lapide della sua tomba, posta nel Cimitero
Protestante di Roma, il poeta inglese John
Keats volle che fosse scritto “Here lies one whose name was
writ in water” (cioè “Qui giace uno il cui nome fu scritto
sull’acqua”), per evocare la vanità dell'esistenza e
ricordare che tutto passa senza lasciare traccia...abbandonando
quel tanto di misoginia a cui il concetto dell'antico proverbio era
stato associato.
[Già pubblicato in mainikka.alteravista.com il 12 febbraio 2012]
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